“Quanto soffriamo per la gente che muore. Quanto siamo indifferenti a come vive “. Palagumni Sainath.

La nostra sembra presentarsi come l’epoca dell’indifferenza nelle relazioni interpersonali, nella politica, nell’esperienza educativa, in ogni singolo tratto di vita quotidiana. Oggi l’individuo “monade” e gli esseri umani “atomo “ si vanno moltiplicando e quella che viviamo è una Babele dell’indifferenza sempre più globalizzata: uomini noncuranti di ciò che va oltre il proprio confine, dotati di una moralità precaria e asservita al denaro , all’apparenza e all’interesse personale.

Così, nel caotico mondo delle nostre metropoli dalle luci e dagli stimoli incessanti palcoscenico di collettività gigantesche e indefinite, l’uomo si irrigidisce, plasma una barriera, diventa “blasè’” per dirla con il sociologo berlinese George Simmel, cioè distaccato, denotando scetticismo e indifferenza. Siamo tutti un po’ “ blasè’”, sfuggenti per ciò che ci accade intorno, per ciò che non ci tocca in prima persona, per l’altro e la sua vita. Occorre andare oltre il nostro orizzonte che appiattisce senza approfondire, cambiare prospettiva , comprendere la nostra comune natura umana instabile, caduca , imperfetta e proprio per questo bisognosa della considerazione di tutti. Massimiliano Ferro affronta questo tema, che presenta tante sfumature e interpretazioni attraverso il suo linguaggio fotografico che diventa un vero e proprio canale di dialogo con l’astante.

“Oltre l’indifferenza” è il racconto delle mille facce di un’indifferenza metropolitana attraverso 20 scatti in bianco e nero tutti dalle dimensioni di 50×70, ripresi in giro per l’ Italia sena premeditazione né posa. La strada è il teatro straordinario dove tutto si crea e si fonde in maniera fortuita, spontanea e a volte magica. Le persone, protagoniste involontarie delle sue foto, sono soggetti che abitano in ogni angolo della città e rappresentano una denuncia dei mali del XXI secolo.

Eccoci davanti passanti distratti, figure umbratili di individui soli o accompagnati che si aggirano disincantati e che avvolti in un limbo di apatia tralasciano di vedere il mondo che gli scorre a lato. Altre volte sono sagome o immagini metaforiche -quasi una provocazione- figlie di un’esistenza anonima, o persone lasciate nel loro stato di fallimento e abbandono che pare renderli indegni di appartenere alla realtà cittadina; o ancora scorci urbani, silenti paesaggi, dall’atmosfera quasi inquietante e interlocutoria. Le foto si susseguono lungo le pareti mostrando una realtà cruda e senza filtri rappresentando quell’ incuranza divenuta strategia relazionale sempre più diffusa che materializza i suoi effetti nell’omertà, nella paura, nell’ignavia o pigrizia , rendendoci insensibili a ciò che ci circonda.

A ben guardare, il filo conduttore di questa narrazione di Massimiliano Ferro ,è la solitudine dell’uomo contemporaneo che esprime la sua massima potenzialità proprio con l’indifferenza che si scontra con la vita stessa e ci riduce ad un numero, tutti attori e spettatori di una grande fiction. L’invito è quello di riflettere per agire, per non restare avvolti nel proprio microcosmo, perché siamo chiamati all’incontro e al confronto quotidianamente e in ogni luogo. Importante è recuperare la capacità di ascoltarsi, sentire e comprendere gli altrui bisogni e sentimenti, superando la povertà emotiva che sfocia nell’ostilità. Una società più giusta e più vera è affidata alla collaborazione di tutti, è quella che vince sui pregiudizi e sull’attaccamento alle differenze e non ci rende più invisibili in mezzo alla gente. Graziella Bellone